Se ne parla da tanto, è quasi un tormentone, ma il problema non viene mai analizzato con metodo. L’analisi rivela una politica senza visione di sistema e un analfabetismo funzionale sempre più incalzante
La recente indagine Istat Noi-Italiat ha confermato che l’arretratezza sull’utilizzo del digitale in Italia è da considerarsi un fenomeno niente affatto temporaneo, ma ormai patologico, che richiede, per ottenere una inversione di tendenza efficace, un intervento su più piani e aree, un vero e proprio sistema di interventi che sia in grado di affrontare le molteplici cause che sono alla base.
Per quanto strano possa sembrare, la ricerca delle cause dell’analfabetismo digitale italiano è stata poco frequentata da studiosi e commentatori del tema, quasi presupponendo (implicitamente) che la terapia potesse basarsi esclusivamente sui dati stessi dell’arretratezza (infrastrutture digitali carenti, bassa diffusione di computer e tablet) e che non fosse da caratterizzare sulle specificità del sistema sociale italiano.
Tentiamo pertanto di dare un contributo su questo fronte, con la consapevolezza che, dato lo spazio, questa non può che essere la proposta di un percorso di analisi.
Una premessa ancora: distinguiamo tra analfabetismo informatico (e quindi incapacità di utilizzare un dispositivo -cellulare, smartphone, computer, ..) e analfabetismo digitale, inteso come mancanza di competenze digitali e quindi incapacità di “saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie di informazione e comunicazione (TIC) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione.” Incapacità quindi di utilizzare le TIC “per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet”.
Il focus del sistema di interventi è da questo punto di vista sul versante dell’alfabetizzazionedigitale, intesa come acquisizione delle competenze digitali di base, necessarie per una piena cittadinanza (digitale). Questa è esattamente la stessa definizione che ritroviamo per l’alfabetismo funzionale. Non a caso.
Nel mondo digitale la semplice capacità di utilizzare un dispositivo (cellulare, smartphone, computer, ..) si situa al livello dell’alfabetizzazione informatica, comparabile con l’alfabetizzazione di base (“capacità di leggere e scrivere un breve componimento”). Nella società della conoscenza del XXI secolo, questa capacità è certamente necessaria, ma non sufficiente.
Così, il gradino minimo da raggiungere si situa sul livello funzionale, che progressivamente non sarà distinguibile tra “digitale” e non. E già adesso diventa difficile da distinguere.
Una segmentazione della popolazione rispetto alle competenze digitali
Da questo punto di vista, è interessante segmentare la popolazione italiana rispetto a quattro livelli di competenze sul digitale:
Rispetto ai dati più recenti disponibili (prendiamo come riferimento organico i dati Istat “Cittadini e Nuove tecnologie”, elaborati secondo i criteri appena esposti)
La dimensione dell’analfabetismo digitale da contrastare (analfabeti totali più gli analfabeti funzionali) è quindi di gran lunga più elevata di quella spesso diffusa dai rapporti (siamo a circa il 75% della popolazione 6-74 e 66% della popolazione 14-75), e quindi il fenomeno da affrontare è molto complesso.
Il parallelismo e la correlazione con l’analfabetismo funzionale sono determinanti per la nostra analisi. Non è un caso, infatti, che siamo in presenza di un aumento dell’analfabetismo funzionale, che si attesta intorno al 50% della popolazione italiana. L’analfabetismo funzionale può essere considerato anche un fenomeno correlato strettamente all’analfabetismo digitale, a tal punto che un intervento specifico di alfabetizzazione digitale deve necessariamente comprendere anche l’area della literacy funzionale. Sta di fatto che un così forte analfabetismo funzionale negli adulti determina un ostacolo culturale considerevole nell’approccio all’apprendimento di una nuova grammatica e di nuovi strumenti, perché determina di fatto un approccio al digitale prevalentemente passivo e da spettatore, certamente non consapevole.
Tipologia di cause e approccio di analisi
I quattro segmenti che abbiamo individuato permettono di fornire una base importante per l’identificazione di interventi differenziati, e l’analisi di dettaglio consente di entrare nel merito della composizione di ciascuna classe in termini di età, area geografica, livello economico, etnia, genere, così da comprendere come incidano fenomeni certamente correlati come l’emarginazione sociale (per ragioni di devianza; per disabilità; per mancanza di lavoro e/o di reddito minimo sufficiente; per difficoltà di linguaggio).
Il passo successivo è di considerare prima di tutto le condizioni mancanti, e quindi le cause visibili ed emergenti che favoriscono l’analfabetismo digitale. Si tratta di cause che anche dalle interviste e dalle rilevazioni sull’uso di Internet possono essere riscontrate in modo chiaro. Dalla rilevazione Eurostat del 2013 si evince ad esempio che per gli italiani le principali ragioni per il non utilizzo di Internet sono:
· la mancanza di competenze digitali (38%, poco superiore alla media UE);
· la mancanza di interesse-motivazione (27%, molto inferiore alla media UE del 47%);
· i costi per l’accesso e per l’equipaggiamento (21% molto inferiore alla media UE del 32%).
Più basse le percentuali relative ad altri fattori come la privacy e la sicurezza.
Dall’analisi della popolazione utente di Internet (vedi sempre la rilevazione Istat “Cittadini e Nuove tecnologie”) si rileva al contrario che sono elementi maggiormente differenzianti:
· il livello di istruzione più alto;
· la condizione occupazionale (dirigente più che impiegato più che operaio più che disoccupato);
· il genere (maschi più che femmine);
· l’età (giovani più che anziani e famiglie con minori);
· l’area geografica (ma solo per gli adulti: a decrescere dal Nord al Sud).
Questi elementi connotano anche i contesti tipici dell’alfabetismo funzionale. In più, per l’alfabetismo digitale gioca un ruolo importante la presenza di una infrastruttura digitale abilitante e stimolante.
Secondo Alfonso Molina, docente di Strategie delle Tecnologie all’Università di Edimburgo e direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale, le cause dell’analfabetismo digitale italiano vanno ricercate nella “mancanza di leadership”, espressa a più livelli:
Ed è proprio la mancanza di un approccio al sistema Paese, secondo Molina, che fa sì che le iniziative di eccellenza, che ci sono, non riescano ad essere realmente efficaci. Per questo è necessario prima di tutto un cambio culturale.
Sintetizzando, emergono come cause principali dell’attuale condizione di analfabetismo digitale:
Come superare queste mancanze? La risposta richiede di approfondire l’analisi sul perché sono ancora così forti. Possiamo provare a dare alcune risposte elencando i fattori di ostacolo principali:
Molte di queste problematiche non sono dissimili da quelle che causano un ritardo ancora significativo sui tassi di analfabetismo italiano rispetto agli altri Paesi evoluti. Così De Mauro sintetizzava i problemi relativi alle “radici profonde dell’analfabetismo italiano”: “Ancora negli anni cinquanta il paese viveva soprattutto di agricoltura e poteva permettersi di avere il 59.2 per cento della popolazione senza titolo di studio e per metà totalmente analfabeta (come oggi il 5 per cento). Fuga dai campi, bassi costi della manodopera, ingegnosità [..] lo hanno fatto transitare nello spazio di una generazione attraverso una fase industriale fino alla fase postindustriale. Nonostante gli avvertimenti di alcuni (da Umberto Zanotti Bianco o Giuseppe Di Vittorio a Paolo Sylos Labini), l’invito a investire nelle conoscenze non è stato raccolto né dai partiti politici né dalla mitica “gente”. Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza. Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica”.
Se lo sviluppo delle competenze digitali è un requisito essenziale della società della conoscenza, è chiaro come il suo percorso nel nostro Paese non sia particolarmente agevolato.
Un sistema di interventi organico e “dal basso”
Naturalmente una situazione così composita necessita di un sistema di interventi che prenda in considerazione tutte le diverse cause, agendo però secondo un doppio livello top-down e bottom-up che valorizzi e stimoli la proattività della popolazione, dove top-down significa che l’iniziativa viene sviluppata da parte delle istituzioni centrali per essere co-progettata in modo multistakeholder e però guidata centralmente, e bottom-up vede un ruolo essenzialmente di piattaforma, di facilitazione e di coordinamento da parte delle istituzioni rispetto allo sviluppo di iniziative territoriali.
Ed in particolare:
È su questi principi che si stanno indirizzando i lavori del Piano Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali del (promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale) rispetto alle competenze di base e alla cittadinanza digitale, facendo tesoro delle esperienze di organizzazioni no-profit e delle Regioni che in questi mesi stanno collaborando all’elaborazione del Piano. Con la convinzione che il tema della cultura, dell’istruzione, delle competenze digitali debba diventare rapidamente priorità fondamentale dell’azione politica italiana. Sulla base di una visione di futuro della nostra società.
FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)
AUTORE: Nello Iacono, Stati Generali dell’Innovazione
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